AGI - Invasione dell'Ucraina, repressione del dissenso in Russia e lo scontro permanente con l'Occidente: è da comandante in capo di un esercito, più che da presidente che Vladimir Putin, al potere da 24 anni, si candida alle elezioni del 15-17 marzo per restare al Cremlino fino al 2030 e potenzialmente fino al 2036, come prevede la Costituzione appositamente emendata quattro anni fa. Sebbene sia impossibile influenzare l'esito del voto - in un sistema dove lo stesso accesso alla corsa elettorale è altamente controllato e filtrato e gli unici due candidati contrari alla guerra sono stati squalificati - l'esile opposizione rimasta dentro e fuori la Russia punta tutto sull'iniziativa di un ex deputato regionale di San Pietroburgo.Maksim Reznik ha ideato la campagna "Mezzogiorno contro Putin", abbracciata anche dall'oppositore Aleksei Navalny, pochi giorni prima di morire in un carcere di alta sicurezza in Siberia il mese scorso, e poi rilanciata dalla sua vedova, Yulia Navalnaya. L'obiettivo è semplice: tutti gli elettori contrari a Putin devono presentarsi contemporaneamente ai seggi l'ultimo giorno delle votazioni, il 17 marzo, alle 12. Davanti alle file pacifiche e silenziose, la polizia non potrà fare nulla e il malcontento diventerà plastico. Reznik non suggerisce di votare per nessuno in particolare, l'importante è votare contro Putin. Navalnya ha invitato anche ad annullare la scheda scrivendo il nome del marito.Gli unici candidati contrari alla campagna in Ucraina, Boris Nadezhdin ed Ekaterina Duntsova, che avevano raccolto decine di migliaia di firme per le loro candidature, sono stati squalificati. Oltre a Putin, ci sono tre candidati registrati: il conservatore nazionalista Leonid Slutsky, il candidato del Partito comunista Nikolai Kharitonov e Vladislav Davankov, un giovane uomo d'affari. Tutti sostengono l'offensiva russa in Ucraina e nessuno ha chance di intaccare il consenso di Putin. I critici del Cremlino sottolineano che il ruolo di questi tre politici è quello di incanalare il malcontento e dare un'apparenza di pluralismo al voto, in un momento in cui l'opposizione è stata decimata dalla repressione e dalla censura militare.